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Servizio civile - I volontari raccontano (2a tappa)

Al di là di qualunque frase fatta, assistere le persone diversamente abili nel loro complesso vivere quotidiano non è cosa facile da imparare. A dirla tutta, facciamo fatica ad ammettere che le nostre difficoltà di cosiddetti ′normali′ cominciano dall′approccio visivo alla disabilità, fisica o intellettiva che sia: l’imbarazzo vela quegli occhi con cui incrociamo gli sguardi di chi forse percepisce il nostro timore; imbastiamo gesti affettati pieni di insicurezza, di compassione. La paura che ci assale spesso è figlia di retaggi che ci predispongono ad etichettare le persone per poi inserirle nel cerchio della normalità o in quello della diversità in base all′apparenza più o meno simile al nostro modello di riferimento. Siamo capaci di intrappolarle in un aggettivo o in un atteggiamento senza guardare semplicemente quel che sono: persone che ridono, che si arrabbiano, che soffrono; persone capaci di fare alcune cose in modo superbo ma anche con propri difetti, peculiarità, sentimenti. Proprio come chiunque altro.

In questo senso, il Servizio Civile a fianco delle persone disabili può insegnarci tanto: non solo ad osservare con una consapevolezza nuova una realtà diversamente normale, ma anche ad osservare noi stessi così impacciati nella nostra normalità.

Per questo, proseguendo il nostro viaggio, abbiamo pensato di proporvi l’intervista fatta a due volontarie impegnate in servizi per persone con disabilità, nell′ambito di progetti promossi dal Consorzio Parsifal nella provincia di Frosinone. La prima, Giada, studia per diventare un’educatrice e sta svolgendo il Servizio Civile in una comunità alloggio - una vera e propria "casa" per gli utenti che ne hanno bisogno -, mentre la seconda, Chiara, laureata in Scienze dell’educazione, è volontaria in un centro diurno, che impegna gli utenti con diverse attività.  

Partiamo da te, Giada: cosa pensi del Servizio Civile? Credi che si tratti di un’esperienza valida per acquisire competenze da poter spendere in ambito lavorativo?
Il Servizio Civile, secondo me, è un ottimo trampolino di lancio per un primo approccio al mondo del lavoro. Per quanto mi riguarda questa non è la mia prima esperienza lavorativa, ma credo che costituisca un’ottima opportunità, per chi è alle prime armi, per imparare come comportarsi in un ambiente lavorativo.
Anche per i ragazzi che come me hanno avuto altre esperienze si tratta sicuramente di un modo per aprire la mente a nuove conoscenze e potenziare le abilità già presenti. Le competenze che ho acquisito fino ad ora sono sia pratiche (ovvero gestire i turni, rispettare gli orari, organizzare le attività) e sia relazionali (imparare ad ascoltare l’altro, cercare di prendere decisioni diverse in base alla problematiche della persona che si ha di fronte), competenze che aggiungerò nel mio bagaglio personale e di cui farò tesoro.

Una domanda ad entrambe sull′incontro con la disabilità. 
Giada, questa è la tua prima esperienza con i disabili? Quale è stato l’impatto iniziale con una realtà totalmente nuova?
Per me si tratta della prima esperienza a contatto con le persone con disabilità. Ho voluto approfittare del Servizio Civile per conoscere una realtà nuova. I miei studi ed il mio percorso mi hanno sempre portato a confrontarmi con il mondo dell’infanzia ed è per questo motivo che ho voluto intraprendere una nuova ′sfida′ con la consapevolezza di non sapere se ce l’avrei fatta o meno.
L’impatto con la disabilità non è semplice ed i primi giorni nella comunità non sono stati affatto facili: ti trovi a doverti confrontare con una realtà più grande di te, ma la cosa più sorprendente è che col passare del tempo la disabilità non viene più vista come tale e il più delle volte ci si dimentica delle problematiche esistenti.
Siamo riusciti ad instaurare un rapporto costruttivo con gli utenti del centro… sicuramente il volontario in Servizio Civile può dare molto ai destinatari del progetto, ma la ricchezza più grande la riceve egli stesso: una ricchezza fatta di emozioni, di riflessioni e di vita.
Il primo giorno che sono arrivata in comunità, la mia OLP (Operatore locale di progetto) mi ha detto una frase che mi ha colpita e che mi ha accompagnata durante questo mio percorso: "l’impatto con la disabilità non è facile ma se non vi arrendete e portate a termine questo progetto, lascerete qui un pezzo del vostro cuore"… il mio servizio civile ancora non è terminato ma vi assicuro che
un pezzo del mio cuore è già chiuso in comunità.
Mentre tu, Chiara, in passato hai avuto modo di confrontarti con questa realtà: cosa ti ha spinto ad intraprendere di nuovo un percorso simile? 
In passato ho svolto un percorso di volontariato per alcuni mesi in un centro diurno, ma devo ammettere che l’impatto che ho avuto in questa esperienza è stato completamente nuovo. Ho voluto fare questo viaggio per mettere in gioco i miei limiti, per costruire una prospettiva di vita diversa. Quando ho iniziato il Servizio Civile mi sono trovata ad affrontare una realtà totalmente differente da quella che immaginavo: ero dubbiosa su ogni cosa che facevo, avevo paura di sbagliare, di dire qualche parola fuori luogo, di non essere all′altezza delle situazioni. È stato difficile perché è una realtà molto complessa: ti ritrovi in un contesto che va veloce ed è difficile stargli dietro. Tutto sta nel trovare il giusto compromesso tra lavoro ed emozione, tra realtà e cambiamento. Ho scoperto un mondo dove non esiste diversità, esistono solo tante persone con caratteristiche, capacità e anime diverse in grado di donarti molto e di renderti migliore.
 
Continuiamo con te, Chiara: le tue aspettative riguardo lo svolgimento del servizio civile trovano riscontro nelle attività che stai svolgendo?
Assolutamente si, le mie aspettative sono state di gran lunga superate. Le attività che sto svolgendo mi hanno permesso di capire realmente il lavoro dell’educatore. Sto prendendo consapevolezza delle mie energie, del mio aiuto, delle mie capacità e soprattutto sensibilità. Sento di aver messo un “qualcosa” di veramente indimenticabile e prezioso nel mio bagaglio personale: i loro sorrisi davanti ad un traguardo raggiunto non possono che rendermi soddisfatta e felice del percorso intrapreso.
 
Per concludere, Giada, c’è un’attività che hai svolto che ti ha colpito di più oppure che pensi sia particolarmente pertinente rispetto agli obiettivi di progetto?
Le attività che mi hanno colpito sono davvero molte ma, volendo sceglierne una, mi viene in mente la cena di Natale… si è trattato, in realtà, di un periodo pieno di attività.
Da novembre tutti i ragazzi sono stati alle prese con la preparazione degli addobbi natalizi e delle ghirlande che poi avrebbero regalato ai loro familiari la sera della cena di Natale. Il 22 dicembre - il giorno previsto per la cena - è stata una giornata davvero impegnativa e piena di preparativi. Alle 19 tutto era pronto; poi finalmente sono arrivati i familiari ed è stata una serata bellissima, piena di amore, serenità e gioia.
Nei regali non c’era nulla di costoso, soltanto oggetti realizzati artigianalmente, magari imperfetti ma fatti con il cuore. E’ stato, per me, come passare il Natale in famiglia: nonostante li conoscessi da poco più di un mese, in quell′atmosfera si respirava infatti il calore e la tranquillità di una casa accogliente. E i regali più belli sono stati proprio i loro sorrisi e la gioia che avevano nel cuore, ma soprattutto quel pizzico di soddisfazione nell′aver contribuito alla realizzazione di una serata perfetta.

Il viaggio in compagnia dei nostri volontari è destinato a continuare...

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Le immagini, che ritraggono momenti di attività all′interno di un centro diurno, sono di proprietà del Consorzio Parsifal.

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