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Archivio Recensioni - libri, riviste e film sul sociale » Gennaio 2011

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Il bambino con le braccia larghe

Autore: Carlo Gnetti

Editore: Ediesse

Prezzo: 10,00

Voto:

Chiusa l′ultima pagina di questo libro, con un groppo in gola che non scende, si rimane a guardare il muro di fronte.
Davanti agli occhi due protagonisti.
Un bimbo di dieci anni che, un giorno come un altro, allarga le braccia per abbracciare il vuoto senza un perché. E l′altro: l′uomo che quel bimbo è diventato quasi cinquant′anni dopo, completamente consumato dalla malattia mentale e dai suoi quasi-rimedi, che, di notte, nel letto dell′ospedale in cui è stato ricoverato d′urgenza, si volta e muore.



Tra loro due, solo tanto dolore e poi, anche, una storia. Anzi due. Quella personale del bambino e dell′uomo e quella con la S maiuscola, la Storia dell′Italia del dopoguerra corsa dentro gli studi di psichiatri in ostaggio delle loro teorie, tra le pause imbarazzate delle quasi-definizioni di una patologia irrazionale che si presenta più quasi come un′accusa che come una malattia da fronteggiare con una cura, nelle anticamere delle infermerie, sulle barelle delle scariche di elettroshock e sugli alti letti di contenzione, tra le maglie delle reti dei manicomi in cui passare caffè miscelati e sigarette, oltre le loro mal vigilate recinzioni, sui treni che accendono inenarrate e cicliche fughe verso chissacosa, tra i cavi telefonici ammatassati per centinaia di chilometri con un bandolo nei commissariati di polizia e l′altro nelle case piccolo-borghesi dei tutori, nei traslochi da una città all′altra e da una scuola all′altra per finire in un collegio, e poi da un ospedale ad un altro ospedale, e a seguire in uno studio di psicoterapia familiare, in uno pseudo-manicomio che si fa chiamare comunità, nel padiglione sperimentale di un quasi-manicomio, nelle palazzine abbandonate, occupate e trasformate in una vera comunità d′ispirazione basagliana, in una casa-famiglia quasi-condominiale, in una clinica privata e poi in un′altra, in un centro psichiatrico residenziale ri-manicomiale, ancora in una clinica privata ed infine, sarà l′ultima volta, in un ospedale.
 
Tutto sa d′incompiuto, tutto sa d′ingiustizia, anche il libro, che è esso stesso una quasi-autobiografia, perché scritta in realtà dal fratello quasi-gemello dell′autore-protagonista, o un quasi-romanzo che, diversamente dalle altre normali fiction, cita i nomi reali di persone, enti e luoghi per non suonare di falso, ma che è nell′impossibilità, suo malgrado, di far nascere un dialogo, almeno non con tutti coloro che cita in causa.
Resta una domanda, doverosa: cosa chiedeva in fondo quest′uomo che non gli si è saputo dare? cosa chiedevano i suoi familiari investiti dalla sofferenza come da un′onda a volte più grande dei loro stessi tenacissimi affetti? Forse la risposta è da ricercare in uno dei pochi personaggi davvero positivi di tutto il libro, la manovratrice, la dottoressa Terribile, che c′è una cosa che fa, semplicemente: essere presente quando serve, mentre gli altri danno l′impressione di volere, prima o poi, solo scappare.


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