Viviamo una
situazione incredibile. A causa della
crisi, il
debito pubblico dei paesi occidentali
è ai livelli che raggiunse alla fine della prima guerra mondiale. A pagarne le conseguenze
sono (e saranno) solo i contribuenti. Le banche, vere responsabili del default,
continuano a nasconderci la verità sui loro conti. Intanto i ricchi vivono alle
spalle dei poveri. I lavoratori dei paesi emergenti dedicano buona parte dei
loro salari per stipendiare noi, che guadagniamo dieci volte più di loro. Ma,
soprattutto, nessuno vuole realmente sapere a quanto ammontano i debiti degli
Stati, perché, in ogni caso, non si saprebbe cosa fare. Tutto, insomma, «si sta
disponendo in modo da far presagire un nuovo disastro».
In questo
libro – best seller in
Francia –
Jacques Attali prova ad immaginare il futuro
dell’economia del mondo, considerando il
debito pubblico come il problema-chiave. Anche se la teoria economica è lacunosa, l’autore ricava alcune certezze
dalla storia del debito sovrano degli ultimi mille anni.
Sappiamo,
egli dice, che: 1) il
debito pubblico pesa inevitabilmente sulle generazioni a
venire; 2) se finanzia gli investimenti può essere utile alla crescita, ma prepara
eventi drammatici se sostiene la spesa corrente; 3) costituisce inoltre senza
scampo una sottomissione dei governi ai mercati: chi finanzia il debito dei
sovrani dominanti si candida infatti a sostituirli; 4) tende naturalmente ad
aumentare se lo Stato non interviene tagliando la spesa o aumentando le tasse;
5) è più sostenibile se è finanziato dal risparmio interno; 6) i debitori
assoggettano i creditori tanto quanto questi credono di tenere in pugno i primi;
7) non esistono indici standardizzati oltre i quali è certo il fallimento degli
Stati: più di qualsiasi dato, conta la fiducia dei mercati; 8) il
riassorbimento del debito sovrano ha otto possibili esiti, tra questi quasi
sempre c’è l’inflazione; 9) il
debito pubblico è quasi sempre sottovalutato da
chi lo contrae; 10) per governarlo è necessario conoscerlo e farlo conoscere,
controllarlo, scaglionarlo e limitare gli investimenti alle effettive capacità
di rimborso.
A partire da
questi punti fermi,
Come finirà? prova
a disegnare i probabili scenari. Quelli più disastrosi, per
Attali, non sono così
lontani come si crede. A suo dire, un ulteriore eccesso di indebitamento porterebbe
presto al fallimento dell’euro. I primi a saltare sarebbero la Grecia, il
Portogallo e la Spagna. Subito appresso la
Gran Bretagna. Tornerebbe in auge il
protezionismo e ci sarebbe una nuova lunga recessione. Anche il dollaro perderà di credibilità, schiacciato da un
debito pubblico cresciuto a
velocità vertiginosa. A questo punto il creditore sarà ancora una volta vittima
del debitore: l’
Asia e la
Cina in particolare, che hanno investito la maggior
parte delle loro riserve nelle valute occidentali, crolleranno sotto il peso di
un’inflazione mondiale galoppante.
Lo stesso autore
ammette tuttavia che le previsioni in questo campo sono difficili. Troppo ampi
i limiti della scienza economica nel distinguere tra debito pubblico “buono” e “cattivo”.
Non si può comunque negare che «siamo
entrati in una zona pericolosa, dove i governi e il mercato si osservano,
chiedendosi chi dei due sparerà per primo».
Un intero
capitolo, nell’edizione italiana, è dedicato al
futuro del nostro Paese, che,
in rapporto al Pil, ha il terzo debito più alto del mondo tra i paesi
sviluppati. Le prospettive sono cupe: il 70% del nostro debito è finanziato da
stranieri e l’Italia non può neanche più ricorrere alla svalutazione della moneta
per innescare la crescita. Che fare dunque? Per uscire dalla crisi dobbiamo,
secondo
Attali,
ridefinire in fretta il nostro modello sociale, dando più
spazio al privato e destinando allo Stato il ruolo di «riassicuratore di ultima
istanza», che si riserva di intervenire nei servizi pubblici soltanto in caso
di fallimento o di inosservanza del contratto da parte dei concessionari. Senza
cedere alle illusioni della
decrescita, che peggiorebbe il peso del debito
sovrano, il governo italiano dovrebbe dividere il proprio bilancio in tre
sezioni distinte: una per la spesa corrente, una in cui accumulare un deposito
risarcitorio per i danni che causiamo alle generazioni future, ed una, infine,
per istituire un fondo di investimenti nazionali che finanzi le spese pubbliche
di cui gioveranno anche i posteri.
La cosa senz’altro
originale è che
tra gli assi prioritari d’investimento Attali include, oltre ai
temi generalmente più cari alla destra (infrastrutture e sicurezza) e alla sinistra (ricerca,
istruzione, immigrazione e ambiente), anche
la «gratuità». E spiega: «per
ridurre la dinamica delle spese pubbliche, lo Stato italiano dovrà anche
favorire, con investimenti per lo meno fiscali, la costituzione di imprese
senza scopo di lucro di ogni natura, aventi come obiettivo quello di fornire
gratuitamente, in termini di puro altruismo, servizi pubblici. Dovrà sviluppare
la democrazia partecipativa, organizzare spazi urbani e virtuali perché chi ha
voglia di rendersi utile e di garantire servizi al di fuori della spesa pubblica
possa incontrarsi».
Renato Incitti